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Dino Campana e il suo (odiato) Mugello

Di Alessandra Maria Abramo


Marradi 25 Aprile 2021

L’edificio dove ebbe sede la tipografia Ravagli, a Marradi, si trova nel centro del paese e si riconosce grazie alla targa commemorativa in pietra apposta in ricordo dei Canti Orfici di Dino Campana che qui vennero stampati per la prima volta nel 1914. L’iniziale stesura dell’opera, dal titolo Il più lungo giorno, fu affidata da Campana per la pubblicazione a Papini e a Soffici, ma quest’ultimo perse il manoscritto (sarà ritrovato solo nel 1971), facendo naufragare il poeta nello sconforto.

Una foto giovanile del poeta Dino Campana (1885-1932)

Campana prese le distanze dall’intellighenzia fiorentina e dai salotti a cui era poco avvezzo e si rifugiò affranto a Marradi dove, tra appunti e memorie, dette nuova vita alla sua opera. Così scriveva: «Fuggii sui miei monti, sempre bestialmente perseguitato e insultato e scrissi in qualche mese i Canti Orfici includendo cose già fatte». In Provincia di Firenze, oltre il Passo della Colla, al confine tra la Toscana e la Romagna, si trova il luogo dove Campana nacque il 20 Agosto del 1885, in quella valle dove scorrono le acque fredde e limpide del fiume Lamone. Marradi, tra palazzi signorili e castagneti secolari, diede a Campana gli anni sereni dell’infanzia, che cedettero presto il passo ai dissapori con la madre uniti ai contrasti con un paese troppo piccolo per contenere il suo disperato bisogno di conoscere il mondo.
Qui abbiamo incontrato la Presidente del Centro Studi Campaniani, Mirna Gentilini, che guida con passione da anni la più importante associazione di ricerca e documentazione dedicata al poeta.

Mirna Gentilini, Presidente del Centro studi campaniani di Marradi

Presidente, come si spiega il rapporto conflittuale di Campana con il suo paese natale?

«Campana era uomo di carattere sensibile, ma anche provocatorio e a tratti aggressivo; i marradesi lo criticavano, lo giudicavano per le sue stravaganze, per i comportamenti troppo fuori dagli schemi per un paese di pochi abitanti e lontano dalla vita mondana delle città. Al tempo stesso, però, lo apprezzavano, tanto che grazie alla solidarietà di alcuni compaesani, poté stampare i Canti Orfici. L’urgenza di Campana di allontanarsi dal suo paese, di viaggiare in Italia e anche all’estero fino all’Argentina, è accompagnata dal desiderio di rivedere i suoi monti, di tornare alle sue origini, in un’alternanza di sentimenti che caratterizzerà tutta la sua esistenza».
Come egli stesso scrive: «Conosco una musica dolce nel mio ricordo senza ricordarne neppure una nota, so che si chiama partenza e ritorno». Errante per il mondo, straniero nella sua stessa patria, la vita di Campana è caratterizzata da partenze e ritorni, non solo fisici: la sua poesia viaggiava con lui, per tornare a rivedere le bellezze del suo territorio, il fiume, l’acqua, i monti. Un sentimento di ammirazione che il poeta esprime anche in una delle tante lettere indirizzate a Sibilla Aleramo, la donna da lui amata, con la quale trascorse gli ultimi momenti felici e insieme devastanti della sua vita, un amore folle e violento, tra fughe e incontri, tormenti e speranze.
«Sarei felice se potessi farvi partecipe della mia ammirazione per questa linea severa e musicale degli appennini che segna da Dante a Michelangelo lo spirito dei nostri migliori» le scriveva.

Una bella immagine del 1917 della poetessa e scrittrice Sibilla Aleramo (1876-1960). Fra lei e Campana ci fu un’intensa relazione sentimentale

Una vita permeata dal ritmo della poesia, tra viaggi, arresti e passaggi in manicomio, fino a che l’abisso della follia lo portò all’ammissione nell’ospedale psichiatrico di Castel Pulci nel 1918 dove morirà per setticemia acuta nel 1932.

Come è diventato diventato un mito Campana e  che cosa lo rende oggi così attuale?

«Già poeta affermato e riconosciuto, Campana ottenne l’ufficialità del suo enorme valore letterario a partire dal 1942, quando le sue spoglie furono traslate nella Chiesa di Badia di Settimo con una cerimonia a cui parteciparono i maggiori letterati del tempo. La sua poesia venne definita tra le più significative del Novecento, trasformando il poeta in mito. La poesia di Campana è europea, musicale e colorita, come lui stesso la definisce allo psichiatra Pariani. I Canti Orfici sono fortemente contaminati della cultura mitteleuropea, sia letteraria che figurativa. Il poeta conosceva ben cinque lingue; la sua opera porta il sottotitolo in tedesco Die Tragödie des letzten Germanen in Italien (“La tragedia dell’ultimo germano in Italia”), il colophon (termine che indica le informazioni sulla pubblicazione dell’opera, tipo lo stampatore, etc, ndr) è in lingua inglese tratto da Song of Myself di Whitman. Amava la musica e la musicalità che fa emergere con naturalezza nei suoi testi. L’aspetto coloristico è essenziale in Campana, il colore dà una connotazione esatta a ciò che descrive. La sua è poesia moderna, parola viva, nella quale l’uomo di ogni epoca si può rispecchiare».

La suggestiva piazza delle Scalelle nel cuore di Marradi (foto di appenninoromagnolo.it)

Che cosa resta di lui a Marradi?

«Oltre trenta anni fa è nato a Marradi il Centro Studi Campaniani Enrico Consolini, con lo scopo di far conoscere al mondo la figura di Dino Campana, e curarne la memoria, con un comitato scientifico di rilevanza internazionale. Nel Centro sono custoditi materiali unici come la prima edizione dei Canti Orfici, del 1914, e il quadro di Giovanni Costetti, l’unico ritratto esistente di Campana che risale al 1913. Sono raccolti anche molti documenti, lettere, tutte le edizioni dei Canti Orfici e al piano superiore ha sede il Museo di arte contemporanea “Artisti per Dino Campana”. All’interno del paese si trova un percorso itinerante con informazioni che fanno riferimento a ciò che Campana racconta nella sua opera. A Marradi c’è la casa dove visse, in Via Pescetti 1, appartenente alla famiglia, non distante dal piazzale Celestino Bianchi dove c’era la casa natia distrutta durante la seconda guerra mondiale. Nel cimitero del paese dal ’72 esiste un cenotafio in sua memoria, poiché le sue spoglie sono conservate nella Abbazia di Badia a Settimo a Scandicci».

A Emilio Cecchi il 10 agosto 1917, Campana scriveva: «Sono qua, venuto da me, forse perché possiedo una casa (anzi due). Che bellissima casa, dove starò finalmente tra tutta gente per bene. Qua c’è una bellissima vegetazione. Il blu profondo del cielo si incontra con la luce toscana mattina e sera sulle frange dei monti. Il fiume è bellissimo».

Immagine di apertura: la casa di Marradi, nel Mugello, dove Dino Campana trascorse buona parte della vita (foto: Centro Studi Campaniani)