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CINEMA e VELOCITA’ in Dino Campana

Faenza. Lunedì 3 Novembre 2003 Cinema Italia. Relazione di Rodolfo Ridolfi Presidente Centro Studi Campaniani

Introduttiva alla rassegna  “Lunedì Cult Movie”il cinema in Emilia-Romagna curata dal Cine Club Kamikazen in collaborazionr con la Cineteca di Bologna, l’Istituto Cinematografico dell’Aquila, “La Lanterna Magica” ed il Centro Studi Campaniani “Enrico Consolini” di Marradi.

Cinema e velocità sono aspetti molto marcati della modernità di Campana: La tradizione letteraria (Dante, Leopardi, Carducci, Pascoli) e pittorico-scultorea (Leonardo, Michelangelo, Ghirlandaio, Della Robbia) sono sorgenti dalle quali Campana estrae la sua materia poetica. La modernità ed in modo particolare la velocità ed il cinema sono strettamente legati al Futurismo. Certamente Campana non condivideva il punto 10 del Manifesto del Futurismo “ Noi vogliamo distruggere i Musei  e le Biblioteche” e neppure il punto 3 “ Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa perché la letteratura aveva fino ad allora esaltato l’immobilità pensosa, l’estasi ed il sonno: Campana dice:” Ogni tanto scrivevo dei versi balzani ma non ero futurista. Il verso libero futurista è falso, non è armonico. E’ una improvvisazione senza colore e senza armonia. Io facevo un poco di arte. I Futuristi li trovavo vuoti.” Ciò nonostante la vicinanza di Campana con il Cubismo ed il Futurismo è notevole. Il punto 4 del Manifesto futurista, quello della nuova bellezza: La velocità ed il cinema, lo coinvolge molto e caratterizza in più parti la sua poesia che è sintesi fra modernità e tradizione. Il tema del cinema in Campana è stato accennato da molti critici: Bonifazi che parla di tecnica cinematografica, la Ceragioli che sostiene ripetutamente come Campana avesse considerato cinematografico il proprio procedimento che annulla la dimensione cronologica e Pedro Luis De Guevara che ha colto e approfondito più di ogni altro il rapporto Campana-cinema seguendo la pista del manoscritto del Più lungo giorno. Nel Manoscritto la prima composizione appare con il titolo “scorci bizantini e notti cinematografiche” e cancellato in lettere grandi “Cinematografia sentimentale” che doveva essere il titolo iniziale. Facciamo un passo indietro: nel 1895 i Fratelli Lumière costruiscono la camera portatile e firmano le prime scene esterne; la prima ripresa in movimento avviene a Venezia su una gondola nel 1897. Le proiezioni avvenivano nei caffè concerto e nelle fiere in apposite baracche. Trasferiamoci a Faenza e vediamo un po’ quello che succedeva all’inizio del ‘900 . Il settimanale “Il Lamone”, periodico faentino che usciva la domenica, il 21 maggio del 1905 scriveva: “il cinematografo che è stato presentato ieri sera all’Arena Borghesi, richiamò molto pubblico e ottenne un lieto successo”. Lo stesso settimanale il 17 Settembre dello stesso anno annuncia la proiezione dell’assedio e capitolazione di Port Arthur (Guerra russo-giapponese). La diffusione del cinema continua in Romagna il 24 settembre 1905 “Il Lamone”: “il grande cinematografo Lumière si è installato con un grandissimo padiglione nella Piazza Pasi del Borgo D’Urbecco.

Torniamo al Più lungo giorno: ne La Notte, Amore è sicuramente una delle prime descrizioni del cinematografo in Italia, ma dal punto di vista dello spettatore che si trova di fronte al grande schermo. Il poeta si trova in una fiera (Le fiere del bestiame si svolgevano a Faenza la seconda domenica di Luglio che, in quell’anno, cadde il 9 luglio, la domenica d’Agosto prima di Sant’Elena, in quell’anno, il 20 agosto, compleanno di Campana) i giochi d’artificio sono finiti, nell’aria l’odore della polvere, il silenzio dopo il forte rumore dei fuochi, gli occhi stanchi di guardare il cielo ed il poeta scopre che è accanto ad una ragazza. Non sappiamo se ci sia un rapporto fra loro neanche se si conoscono, la ragazza si sente attirata da una baracca dove offrono le più grandi invenzioni del momento, il cinematografo, e decide di entrare e dietro di lei l’uomo e gli spettatori o le persone che chiedono i biglietti per entrare che già sono seduti rivolgono lo sguardo verso chi entra quando lo spettacolo è cominciato. E lì ci sono le vedute( vistas, tomevistas si chiamano le cineprese da trentacinque millimetri) ed appaiono “ dei panorami scheletrici del mondo” che non sono altro che le città attraverso il cinema muto, i soldati morti a Port Arthur e le odalische. E si sente l’odore della segatura( che si usa per asciugare il fondo della baracca) e le donne sono stupite per quella invenzione che permette loro di vedere Parigi e Londra e la battaglia di Muckden senza uscire dal paese. E si esce dalla baracca come ci si è entrati senza sapere dove andare e con quella sensazione di essere fuori dal tempo “ Noi guardammo intorno doveva essere tardi”. La ragazza è “presso di me” perché è immobile alla porta della baracca, ma ognuno prenderà la sua strada. Sentii con una punta di amarezza tosto consolata che mai più le sarei stato vicino, e raccoglie un’altra delle sensazioni che ancor’oggi il cinema ci procura: la vicinanza di una persona sconosciuta nel buio, come non sarà possibile in altre circostanze, perché quella situazione si verifica soltanto nell’intimità della coppia. C’è in Pampa un altro spaccato di velocità cinematografica che assume un’inimmaginabile dimensione lirica che sarebbe troppo complesso e lungo riferire in questa sede. Concludo affermando a dispetto di campanisti poco attenti o superficiali che la poesia del Poeta di Marradi non è mai visionaria né tantomeno frutto di effetti della follia, ma scaturisce dalla grandezza poetica e dalla dimensione culturale di Dino Campana che parte sempre dalla realtà quotidiana per creare uno stile ed una poesia così alta fuori dal tempo e fuori dallo spazio come soltanto i grandissimi della Letteratura hanno saputo fare. Nel film che vedremo di Roberto Riviello e Nino Morino non c’è solo “genio e sregolatezza”, un abbinamento classico con cui l’estetica occidentale interpreta il fenomeno artistico, il poeta della Romagna-Toscana viene raccontato in un’alternanza, quasi senza soluzione di continuità fra momenti di produzione poetica e periodi di disturbo mentale. Un’immagine verosimile che può tuttavia risultare riduttiva perché troppo ancorata al Diario del Pariani. Il regista con l’uso del flash back ricostruisce i primi vent’anni di vita del poeta restituendoci il ritratto umano di un grande artista troppo a lungo imprigionato nei comodi e scontati tratti del Maledettismo.